di Enzo Di Brango
“Graecia capta ferum victorem cepit” sentenziò Orazio nelle sue epistole convenendo che “artes intulit agresti Latio”; insomma Roma si preparò a diventare impero grazie alla cultura sussunta dei greci. Due millenni dopo, messe da parte le ambizioni imperiali (fortunatamente) la letteratura neogreca ha molto da offrire ai lettori non solo romani. Parliamo di due opere poetiche di per sé molto diverse ma entrambe immerse in quella cultura ancestrale ellenica ricca di grazia e, anche per questo, facilmente fruibile “fuori delle mura di Atene”.
A ciò è necessario aggiungere la perizia, la bravura e la capacità divulgatrice di Viviana Maglio Sebastio, traduttrice di entrambi testi qui raccontati. Le spesso incomprensibili leggi del mercato relegano, quando va bene, il traduttore in citazioni che troppo di frequente passano inosservate al primo sguardo (non è il caso tuttavia del volume edito da Ensemble che cita la Sebastio in copertina: rara avis di cui felicitarsi con la casa editrice) non rendendo giustizia a una categoria che non fa sforzo solo di conoscenza tecnica ma che, per rendere fruibile un prodotto letterario, spesso ricorre ad abilità artistiche che con leggerezza molti ignorano.
Eleftherìa Sapountzì (1971-2000), autrice della silloge In un tempo di eterno presente, ha nel suo nome il suo ubi consistam (Eleftherìa in greco vuol dire libertà): "nella sua breve vita – scrive la traduttrice – ha dato pieno senso al proprio nome. La sua libertà risiedeva nella capacità di esprimersi con intensità e naturalezza attraverso la poesia e il teatro, nell'appagare la sua grande sete di vita tramite l'arte e la conoscenza, nell'agire sempre con grande generosità d’animo".
Le poesie – scritte nell'arco di circa un decennio tra soggiorni in Grecia e in Germania, non datate e prive di titolo – svolgono per Eleftherìa una funzione catartica e di protezione della sua sensibilità, affiora l'irrequietezza di una giovane donna piena di entusiasmo e desideri, quanto di paure e di inquietudini. Appare sin dai primi versi che in lei dimorano e si alternano esplosioni di gioia e momenti cupi. Quasi consapevole del crudele destino che ha serbato per lei una morte repentina a soli 29 anni, emerge a più riprese il timore di non fare in tempo a vivere appieno la propria esistenza, timore che può essere riassunto nel suo verso: “Ho fretta./Tutto ora, sia quel che sia”.
"Fuori dalle mura" di Enzo Di Brango per Le Monde diplomatique, de Il Manifesto
In Un Tempo Di Eterno Presente
di Eleftherìa Sapountzì
traduzione di Viviana Sebastio
Edizioni Ensemble (2022)
Pag. 104
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