29 marzo 2020

Mito Kavafis la voce più nascosta




Titolo: Tutte le poesie

Autore: Konstandinos Kavafis

Traduzione di: Maria Paola Minucci

Editore: Donzelli 

Anno: 2019

Pagine: 720




Il 29 aprile ricorre l'anniversario della nascita e della morte di Konstandinos Kavafis (1863-1933), celebriamo questa ricorrenza parlando di lui attraverso le parole di Roberto Galaverni dedicate al volume "Tutte le poesie" del poeta alessandrino, a cura di Paola Maria Minucci per i tipi di Donzelli Editore.


Potete, inoltre, ascoltare un'accurata intervista rilasciata dalla traduttrice Paola Maria Minucci, che ci aiuta a conoscere meglio il poeta, anche attraverso la sua lettura di alcune poesie kavafiane. L'intervista è a cura di Il posto delle parole.


Per la prima volta in italiano, insieme, l’opera edita e inedita di una figura che ha influenzato tanto Novecento


Quando si parla di Konstandinos Kavafis è difficile non cedere al fascino della sua leggenda. E dire che la vita di questo poeta in lingua neogreca è stata priva di eventi e riconoscimenti importanti, fossero anche quelli legati alla gloria poetica. Una vita all’ombra, se non all’oscuro. Alessandria d’Egitto, dove nasce nel 1863, ultimo dei figli di una famiglia aristocratica presto decaduta, le difficoltà economiche, l’impiego pluridecennale presso il ministero dell’Irrigazione, l’omosessualità, lo studio appassionato della storia greca e bizantina, un’esistenza molto appartata, le scarse pubblicazioni in vita, un’opera poetica venuta alla luce per lo più postuma e comunque non molto estesa.

Eppure il suo mito ha continuato a crescere e crescere, tanto più dopo la morte (il 29 aprile 1933, nello stesso giorno in cui era nato). Com’è accaduto per il nostro Sandro Penna, si fa riferimento quasi sempre alla diversità per comprendere certi poeti. Ma forse è altrettanto lecito pensare il contrario. Forse gli uomini hanno bisogno di riconoscersi, di condividere la propria solitudine attraverso la voce di un’altra solitudine, di sentire che la vita è tanto più sé stessa quanto più è anonima, di tutti proprio perché di nessuno in particolare. È certo un paradosso, ma cosa c’è di più comune delle nostre rispettive diversità?


A partire dagli anni Cinquanta-Sessanta le pubblicazioni italiane delle poesie di Kavafis sono state numerose e spesso di valore. Non gli sono infatti mancati traduttori autorevoli: Filippo Maria Pontani, Nicola Crocetti, Guido Ceronetti, per ricordare solo quelli che hanno segnato più profondamente la ricezione italiana del poeta. E non gli hanno fatto difetto neppure lettori e interpreti importanti tra i nostri poeti. Vittorio Sereni e Carlo Betocchi, ad esempio; oppure Giuseppe Ungaretti, che ebbe anche modo di frequentarlo un poco ad Alessandria (come pure Filippo Tommaso Marinetti; anche per loro, del resto, si trattava della città natale); o ancora Eugenio Montale, che sul «Corriere della Sera» già nel 1955 gli dedicò un articolo di acutezza a dir poco medianica.

Alle tante edizioni esistenti delle sue opere se ne aggiunge adesso una nuova:
Tutte le poesie, a cura di Paola Maria Minucci (Donzelli Editore). La peculiarità e l’utilità di questo volume sono indicate fin dal titolo. Si tratta infatti della prima raccolta italiana che riporta l’opera poetica di Kavafis nella sua interezza. Tenendo come riferimento l’edizione critica di Iorgos Savvidis, la curatrice ha infatti riunito i tre rami in cui questa poesia per tradizione si suddivide: poesie riconosciute (è il canone ufficiale: 154 componimenti usciti poco dopo la morte del poeta), poesie segrete (74 testi tenuti intenzionalmente nascosti, come una scrittura più intima e privata; si potrebbe anche dire: temporaneamente non pubblicabili) e poesie rifiutate (sono 27, appartenenti per lo più agli anni della formazione). Non è comunque molto. 


Del resto, come i casi di Foscolo e Leopardi dimostrano, a importare in poesia sono solo e sempre la qualità, l’intensità, la memorabilità.
Nell’intervento posto in calce al volume, Paola Maria Minucci (qui intervistata da Radio3 Suite) scrive che «segreto» e «sepolto» sono «parole chiave» per comprendere Kavafis. Non si può non condividere. S’incontrano infatti a ogni livello: nelle pratiche della scrittura e nei rapporti editoriali, nella condotta di vita, nella poetica, nella poesia. Sì, questa soprattutto. Si ha spesso l’impressione che le sue poesie affiorino su un continente sommerso che non è mai possibile esprimere compiutamente. E non solo o tanto per gli impedimenti materiali, la discrezione, le regole di una società più o meno repressiva, il conformismo, i buoni costumi, le autocensure. Tutto questo è di certo presente, e importante. Ma forse c’è qualcosa di più, di più profondo: la percezione di qualcosa come una basilare condizione umana, un senso di sé forte e primordiale come un istinto, e che passa attraverso i tempi e le civiltà, i luoghi, le lingue, le culture, senza spostarsi di un millimetro.


«Disse un poeta: “La musica/ più amata è quella che non si può suonare”./ E di gran lunga migliore — io credo —/ è la vita che non si può vivere». Il cuore segreto o nascosto di queste poesie è qualcosa che può essere soltanto alluso, non una verità personale volontariamente occultata. Sarà allora per una di quelle contraddizioni o di quei rovesciamenti che danno adito alla poesia, che questo poeta della segretezza più intima si sia votato, tanto più nella maturità, nel raccontare di epoche lontane (la classicità greca, l’ellenismo, l’età bizantina), di personaggi perduti nel tempo, di storie e miti che appaiono però denudati di qualsiasi garanzia neoclassica o umanistica. Un poeta dell’altro e degli altri, insomma, anzitutto in virtù di una formidabile capacità d’immedesimazione.



Kavafis stesso aveva teorizzato questa procedura parlando dell’assoluta plausibilità di una simile «esperienza ipotetica». Viene in mente quanto John Keats a suo tempo aveva detto riguardo alle prerogative del poeta-camaleonte. È attraverso quest’oggettivazione, o meglio questa spersonalizzazione, che la voce di Kavafis ci parla così da vicino, con incredibile personalità, cioè appunto da solitudine a solitudine, a cominciare dai suoi due grandi temi elettivi: l’Amore (un amore pagano, sensuale, senza pentimento, come tante volte è stato detto) e il Tempo (o la Storia) come fuga e cancellazione. Come accade per le «voci» della poesia omonima: «E con il loro suono per un attimo affiorano/ suoni dalla prima poesia della vita —/ come musica, lontana, che si perde, nella notte».


"Perché così silenzioso? Interroga il tuo cuore: quando ci allontanavamo dalla Grecia non gioivi anche tu? Perché ingannarsi? – questo non sarebbe degno di un greco.
Accettiamo la verità una volta per tutte: siamo Greci anche noi – cos’altro siamo? – ma con amori ed emozioni d’Asia."


Di Roberto Galaverni, Corriere della Sera 29 dicembre 2019









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