Intervista con Ersi Sotiropoulos

Originaria di Patra e ateniese di adozione, Ersi Sotiropoulos è una delle più importanti scrittrici greche contemporanee. 
Compiuti gli studi in Filosofia e in Antropologia sociale a Firenze, Ersi Sotiropoulos lavora per alcuni anni a Roma, presso l’Ambasciata di Grecia, in veste di Consigliere culturale.  Scrittrice e poetessa raffinata, è stata tradotta in molte lingue. Ai suoi romanzi sono stati riconosciuti diversi premi nazionali e internazionali, come il Prix Méditerranée étranger per  Τι μένει από τη νύχτα, in Italia pubblicato da nottetempo con il titolo Cosa resta della notte (traduzione di A. Di Gregorio, 2019).
In lingua italiana sono stati editi anche Il sentiero nascosto delle arance (traduzione di  A. Lena, Newton Compton, 2012) e Mexico (traduzione di P. M. Minucci, Donzelli, 1994), e ci auguriamo, caldamente, di poter presto leggere in traduzione un maggior numero di sue opere.

Conosciamo Ersi Sotiropoulos un po’ più da vicino, facendo quattro chiacchiere con lei:


Cara Ersi, immagino che più di una volta ti abbiano chiesto: «Perché scrivi?»

Forse perché non posso fare altrimenti. La scrittura mi ha scelta molto presto, ovvero quando ho iniziato a capire me stessa. Ciò che voglio sottolineare è che un bravo scrittore è prima di tutto un buon lettore. Leggo sin da piccola. Non sarei quella che sono senza i libri. Gli scrittori mi hanno formata e protetta anche nei periodi più difficili.




Quando e come hai iniziato a scrivere?

Avrò avuto otto anni. Ero ad Atene, in un appartamento in odòs 3 Septemvriou, a casa di una zia che amavo molto e che ero andata a trovare per le vacanze di Natale. chiusa in quella casa probabilmente mi annoiavo, così ho iniziato a scrivere un storia poliziesca, una sorta di thriller. Il titolo era Cinque intorno alla scala. Ho iniziato a scrivere sopra a un foglio sporco da incarto. Ricordo il pavimento, il parquet lucido e la mia posizione a pancia sotto, mentre scrivevo.


Vorrei entrare con i nostri lettori nel tuo “laboratorio di scrittura”. Ci puoi dare qualche informazione in più su come e quando scrivi, se, ad esempio, ci sono luoghi oppure orari che prediligi, e se usi il pc o la tradizionale biro?

Scrivo al mattino presto, quando gli altri dormono. Nelle ultime fasi di un libro mi sveglio anche alle tre di notte. In qualche modo le mie ore mattutine coincidono con quelle notturne. Ho bisogno di tranquillità, isolamento. Adoro gli alberghi, i luoghi impersonali ed estranei, se avessi abbastanza soldi ci vivrei stabilmente. 
Inoltre, siccome non riesco a leggere la mia grafia, ed è come se non avessi una mia grafia, sono costretta a scrivere al computer, lentamente e con un dito solo, non ho mai imparato a dattiloscrivere.


La pagina bianca ti ha mai spaventata? E se sì, qual è il tuo “rimedio”?

Non esiste ricetta, né farmaco. Scrivi, cancelli, riscrivi. Più che altro cancelli. Ho iniziato a scrivere il mio primo testo, “Vacanze senza cadavere”, come sotto ipnosi.  Le prime pagine descrivono proprio un insieme di sentimenti: il panico, il dubbio e il sollievo di chi è seduto davanti alla macchina da scrivere, al cospetto della pagina bianca.


Quale poeta o scrittore del passato vorresti incontrare? E perché?

Non so se ha senso incontrare uno scrittore che ami e che ammiri. Di rado l’autore coincide con la sua opera. Tuttavia, se dovesse accadere, vorrei conoscere Michaìl Mitsakis (non tradotto in Italia, ndr). La sua scrittura è catalizzatrice, Mitsakis è un autore più moderno dei moderni, eppure quanta ingiustizia. Non è mai riuscito a pubblicare in vita e ancora oggi rimane misconosciuto. “Il fallimento ce l’ho nel sangue”, diceva di sé stesso.


I tuoi libri sono stati tradotti in molti paesi e a tua volta parli diverse lingue, vuoi parlarci del tuo rapporto con i tuoi traduttori?

Con alcuni traduttori è nata un’amicizia che è proseguita anche dopo la conclusione della traduzione. Altre volte, per fortuna poche, è sorta, sin dall’inizio, una reciproca diffidenza. 
Ho un grande rispetto per la professione del traduttore, è un lavoro duro, solitario, di solito mal pagato. Al tempo stesso, chi traduce deve avere un particolare riguardo per il testo, nei miei libri la lingua riveste sempre un ruolo molto importante, infatti impiego parecchio tempo per scriverli.


Hai vissuto molti anni in Italia, conservi un ricordo particolare di quel periodo?

Ricordo che, per motivi di studio, ero partita diretta a Parigi, ma ai confini con l’Italia mi sono innamorata e così mi sono ritrovata a Firenze, dove poi è nato mio figlio. Era l’ultimo anno della dittatura. Allora in Italia accadevano molte cose; fioriva il femminismo ed era diverso da quello francese o americano, era più vicino alla psicanalisi, e più politicizzato, con un forte coscienza sociale. Inoltre, succedevano cose straordinarie nel mondo underground, nell’arte. L’Italia allora era una grande scuola.


Grazie Ersi per questo incontro, possiamo salutarci con una delle tue canzoni greche preferite?

D’accordo. Il mio brano preferito è Στροφή (si pronuncia "strofì"), la “Svolta”, di Nikos Portokaloglou.




Lo so, è andato tutto in rovina 
lo so, il tuo castello è bruciato.
Lo so, cerchi un paese sconosciuto
un paese nuovo che si nasconde lì
oltre il buio, oltre il silenzio.

Ma si apre di nuovo l’antica ferita
la rabbia ti soffoca per quegli anni ormai persi.
Ma corri di nuovo lungo la svolta
lo so, non ti curi di ciò che è conquistato per sempre.

Lo so, quella bella immagine svanirà,
l’immagine a cui hai creduto sin dall’infanzia,
lo so, hai sete di una visione sconosciuta
una visione nuova che si nasconda lì
oltre la nebbia, oltre la svolta.


A cura di Viviana Sebastio

Per saperne di più di Cosa resta della notte, l'ultimo romanzo di Ersi Sotiropoulos, fate un clic QUI

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